sabato 30 giugno 2012

LA RELIGIONE NEL CAPITALE di LUCIANO PARINETTO PART1°



Luciano Parinetto
Connessioni Edizioni connessionic@yahoo.it
http://connessioniedizioni.blogspot.it/

PRESENTAZIONE :
Abbiamo voluto pubblicare questo saggio di Luciano Parinetto (1934-2001), comparso nel volume Né dio né capitale, comparso nel 1976, per Moizzi Editore, perché ci è sembrato un approccio stimolante alla lettura di Marx stesso, slegata dai dogmi e dai tatticismi politici, che hanno imbalsamato Marx facendolo di fatto morire. L’approccio di Parinetto a Marx, con la relazione tra il feticismo religioso e quello della merce, oltre ad avere un valore teorico in se, è anche un modo diverso di leggere il meccanismo del capitale.
Il Capitale di Marx, viene qui riportato nella sua dimensione più pura, non come opera economica, ma una critica della scienza economica, infatti il livello economico viene immediatamente situato in un insieme più vasto. Pensiamo a questo saggio e all’utilizzo che si può fare di Marx oggi, la vendetta di un mortovivente, un moderno zombi, che proprio perché considerato ormai morto e sepolto, ha la forza di riapparire in superficie, in un mondo capitalista contrassegnato da una sempre più crescente disumanizzazione.
Dove in una società di vivi-morti saranno i morti-viventi a provocarne il trapassamento.
La de-integrazione che contraddistingue l’attuale fase aumenta i morti-viventi: l’estensione della condizione proletaria in un capitalismo contrassegnato da processi di decadenza .
Questa condizione di esclusione sociale quantitativa, di morte apparente, che spesso inquieta politici, sindacalisti, sociologi, economisti, ecc.. è per noi la strada per la vita, perché è proprio la condizione di zombi, del proletariato attuale, che rende possibile il suo piano di rottura con l’economia politica stessa. La storia del capitalismo è la storia della progressiva e crescente disumanizzazione delle relazioni sociali, della produzione e della vita sociale in generale.

In tutti i sistemi sociali precedenti, la ricchezza aveva imbrigliato il lavoro in modo concreto attraverso relazioni sociali chiaramente identificabili come quelle tra padrone e schiavo, tra signore e servo, tra oppressore e oppresso. Schiavitù e servitù della gleba erano sanzionate dagli dei o da dio, e non potevano essere messe in discussione. Per giustificare la schiavitù, gli schiavi furono considerati animali, ma i loro padroni sapevano che cosa facevano quando li mettevano al lavoro.
Il signore feudale e il servo conoscevano la loro posizione all’interno della società, anche se il servo poteva talvolta dubitare della saggezza di tali ordinamenti.
Tuttavia la schiavitù e il lavoro costrittivo erano attività umane, motivo di sofferenza per una classe e di gioia per l’altra, assunte da entrambe per ciò che veramente erano.
Il feticcio della religione serviva a cementificare tale situazione.
Non va visto comunque come epoca dorata un simile sistema, l’amore verso l’epoca antica, come quella precristiana legata alla Grecia antica, nel mito democratico assoluto, dimentica sempre che era una società schiavistica, dove la comunità di una parte, la polis greca si fondava su una rigida ripartizione sociale, la sola che permetteva il muoversi della società stessa.
La comunità dei liberi greci, identificava, i propri interessi con la necessità della intera società, cosi come la borghesia al suo nascere faceva coincidere le modalità della “natura umana” che si riscontrano in condizioni capitaliste con quelle della natura umana in generale.
Ma ciò che sono gli uomini, e la loro comunità, in un determinato periodo storico dipende dal che cosa e dal come producono. Il loro essere “dipende dalle condizioni materiali che determinano la loro produzione. Questa produzione fa la sua comparsa solo quando si verifica l’esplosione demografica. A sua volta essa presuppone il rapporto reciproco tra gli individui.
La forma di questo rapporto è di nuovo determinata dalla produzione” K.Marx-F.Engels, L’ideologia tedesca. Ampliando la produzione di oggetti e i loro rapporti materiali, gli uomini “modificano nel corso di questo processo, la loro esistenza reale, il loro pensiero e i prodotti stessi del loro pensiero” K.Marx-F.Engels, L’ideologia tedesca. La natura umana non può essere descritta partendo dall’individuo isolato poiché essa deriva da un insieme di relazioni sociali.

L’uomo è ciò che realmente fa nel concreto ambiente storico e sociale. Mutando questo ambiente cambia se stesso, la storia può essere dunque vista come la continua trasformazione della natura umana. Il termine società equivale a relazioni tra individui, non all’individuo singolo.
Il processo di astrazione dell’uomo e della sua disumanizzazione avviene con la divisione sociale del lavoro, che fin dalle origini si tradusse in una differenziazione delle condizioni lavorative, cioè degli utensili e dei materiali impiegati, in una spartizione del capitale accumulato tra i vari proprietari, e quindi anche, in una divisione tra capitale e lavoro, e nelle differenti forme di proprietà.
Con l’aumento della produzione sociale si estese lo scambio e crebbe l’uso del denaro.
Considerato all’inizio un semplice mezzo di scambio atto a incoraggiare la produzione sociale, (cosi come il rapporto tra l’uomo e gli dei), il denaro, insieme allo scambio che esso facilitava, acquistò ben presto una dimensione apparentemente autonoma. Le fortune dei singoli produttori vennero a dipendere dalle relazioni di mercato, poiché solo per mezzo dello scambio le realtà sociali potevano affermare se stesse e controllare così i produttori invece di esserne controllate.
La produzione capitalista è la produzione di un lavoro non pagato come capitale –esprimibile in termini monetari. Lo scambio tra lavoro e capitale lascia un pluslavoro, materializzato in beni, nelle mani dei capitalisti. Questo pluslavoro deve essere realizzato al di fuori dello scambio lavorocapitale, e lo è di fatto attraverso il consumo della popolazione non produttiva e la formazione di capitale. L’aumento della produttività lavorativa svaluta il capitale esistente e riduce l’ammontare del pluslavoro estraibile attraverso un dato capitale, il che costringe i capitalisti ad accrescere costantemente il loro capitale. Questo si traduce quindi in una concorrenza capitalista che implica un costante aumento di capitale. Il controllo dei produttori da parte del mercato è simultaneamente il controllo dei produttori e del mercato da parte della costrizione all’accumulazione capitalista.
La condotta nell’ambito del capitalismo è subordinata al processo di espansione del capitale.

Questo processo è la conseguenza diretta dello sviluppo delle forze sociali di produzione nel quadro delle relazioni della proprietà privata, che, a loro, volta, sono determinate dalla struttura di classe della società e dal suo meccanismo di sfruttamento. L’espansione della produzione coincide allora in pratica con l’auto-espansione del capitale, poiché nessun capitalista può fare a meno di dedicarsi con devozione ad accrescere il suo capitale. Inoltre, solo nella misura in cui il capitale aumenta in quanto capitale, si può far avanzare la produzione materiale; la soddisfazione delle necessità umane dipende dalla formazione del capitale. Invece di usare i mezzi di produzione per soddisfare questa necessità, questi mezzi in quanto capitale determinano le condizioni dell’esistenza sociale sia per i proletari sia per i capitalisti. Le molteplici manifestazioni di alienazione di cui soffre l’uomo moderno, sono il prodotto del feticismo della produzione capitalista, che si presenta a livello di mercato come il feticismo del’oggetto, dove dio diventa il denaro.
Poiché la produzione capitalista deve essere realizzata attraverso il processo di circolazione, la spinta verso un capitale più allargato in termini di valore monetario unita al più totale disprezzo per gli effettivi bisogni sociali in termini di valori umani, trasforma tutte le relazioni sociali in relazioni economiche, vale a dire, le relazioni umane possono essere consumate solo per il tramite delle relazioni economiche ed hanno effettivamente, o assumano, la qualità di merce.

Ogni cosa è destinata alla vendita e tutto può essere comprato. La coazione sociale all’accumulazione capitalista induce gli individui a riporre la propria fiducia più nel denaro che negli uomini.
E poiché solo il possesso del denaro rende possibile i rapporti sociali, i rapporti sociali diventano a loro volta solo un mezzo per far soldi. Ogni uomo fa dell’altro un mezzo per assicurare e provare la propria posizione economica, indipendentemente da quali possono essere i suoi interessi in termini extraeconomici. Anche se ques’uomo è un essere sociale, egli lo è solo al di fuori della società.
Egli può considerare gradevole e giustificabile il suo comportamento asociale, ma, in realtà non ha nessun controllo su di esso e rimane vittima indifesa delle circostanze.
Nel capitalismo avviene quel processo in cui l’individuo libero considera reale unicamente se stesso, gli altri sono per lui delle astrazioni che possono essere usate o manipolate.

Il nuovo dio, il denaro, allarga e non diminuisce la dimensione democratica, allargandola a tutta la polis, ma al tempo stesso disumanizzando ancor più l’uomo. L’attuale mondo capitalistico è incapace di trasformarsi in una nuova società cosi come ad un certo stadio lo fu il feudalesimo, dove inizio una lotta tra la borghesia nascente e le vecchie classi sociali dominanti. Oggi il capitalismo è ancora in grado di neutralizzare o soggiogare le forze sociali (il proletariato) che potrebbero provocarne una trasformazione, ma è comunque incamminato verso la sua distruzione.
L’eliminazione del lavoro umano che accompagna lo sviluppo del capitalismo non cancella il proletariato numericamente, anzi lo fa aumentare, ne ha la forza di cancellare le sue passioni e la sua capacità trasformativa, derivante dalla sua natura, l’essere nella sua dimensione rivoluzionaria – intesa come rottura radicale nella lotta di classe in cui si distrugge la relazione tra capitale e lavoratori e perciò la stessa economia politica- la più importante forza produttiva.
In questo senso non conta cosa quel proletario pensa o si propone, ma ciò che è la sua natura e ciò che è costretto storicamente a fare in conformità del suo essere.
La classe abbiente e il proletariato presentano la medesima auto-alienazione umana, ma mentre i primi vi si sentono a proprio agio, anzi tale alienazione rappresenta la sua propria potenza e le da la parvenza di un’esistenza umana, la seconda classe, il proletariato, nell’alienazione, si sente annientata, ravvisa in essa la sua impotenza e la realtà di un’esistenza inumana.

Il maggior sviluppo di capitale provoca al tempo stesso quel meccanismo di de-integrazione sociale, ampliando sempre più quel processo di disumanizzazione dell’uomo, rendendo tuttavia possibile il suo trapasso. Ma questo non avverrà per meccanismi automatici, ma dentro una lotta titanica tra forze sociali contrapposte, tra la passione di una nuova comunità e l’attuale civiltà, dove saranno proprio i morti-viventi a rappresentare la forza sociale della trasformazione.
Perché in questi morti-viventi, i proletari, è compiuta praticamente l’astrazione da ogni umanità, perfino della parvenza dell’umanità; perché le condizioni di vita del proletariato riassumono tutte le condizioni di vita della società moderna nella loro asprezza più inumana; perché nel proletariato l’uomo ha perduto se stesso, ma nello stesso tempo è costretto dal bisogno non più sopprimibile, non più eludibile, dalla manifestazione pratica della necessità, alla rivolta contro questa inumanità, ecco perché questi zombi possono liberare se stessi.
Alcuni compagni/e di Connessioni per la lotta di classe Primavera 2012.

La religione nel “ Capitale”
Quando il vecchio Darwin – ormai agnostico, ma pur sempre sottomesso al divino, personificato dalla fanatica intolleranza religiosa della moglie Emma- ricusò l’offerta, che Marx gli proponeva, delle dedica di una parte del Capitale, ravvisando nel libro un attacco contro la cristianità e rifiutando il proprio appoggio ad attacchi diretti contro la religione1, implicitamente riconosceva –non a torto- l’importanza (sia pur velata) che l’argomento della religione ha nel capolavoro marxiano.
Si tratta di un aspetto del Capitale, cui, finora, non pare sia stato dato il meritato rilievo e che perciò vale la pena di prendere – e sia pure sinteticamente- in considerazione.
Il Capitale –come sa chiunque l’abbia letto- non è un opera economica. O –perlomeno- è soprattutto una critica di quell’economia borghese, che intende il termine -economia economicisticamente, laddove, marxianamente, esso deve essere inteso come struttura socio-economico-lavorativa cui, in ultima istanza, vanno dialetticamente ricondotte tutte le sovrastrutture di una società storicamente specifica come quella caratterizzata dal capitalismo industriale.
Se è così, un esame critica del mondo economico è il fondamento stesso di una critica della totalità di una società, e in quella totalità trova ovviamente posto anche la religione.
Il rifiuto di Darwin potrebbe far ritenere che nel Capitale vi sia una ironizzazione volteriana della religione. Ma non è così, anche se, in esso, non mancano, a questo proposito, espressioni corrosivamente dissacranti. Se la considerazione della religione, nel Capitale, si limitasse ad esse, sarebbe cosa del tutto secondaria e dalla quale la struttura dell’opera potrebbe prescindere senza alcun danno. Ma non è affatto così. L’atteggiamento di Marx era – a questo riguardo- tutt’altro che illuministico. Egli era ben lungi, infatti, dal pensare di poter ridurre i contenuti dell’economia (e quindi anche della religione) a “Prodotto arbitrario della riflessione dell’uomo”, poiché sapeva bene che “questa era una maniera prediletta dell’illuminismo del XVIII secolo per togliere, per lo meno provvisoriamente, la parvenza della stranezza a quelle enigmatiche forme di rapporti umani il processo genetico delle quali non s’era ancora in grado di decifrare” Per quanto riguarda il processo genetico della religione, le opere del giovane Marx forniscono una prova lampante di come un simile argomento stesse a cuore al loro autore. E nello stesso Capitale si può leggere, del resto, che “è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose, che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Ques’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico”.

Ma non è l’applicazione di questo –del tutto anti-feuerbachiano (nonostante la dizione) metodo genetico che costituisce il fulcro della valutazione religiosa del Capitale. In esso si può invece rinvenire la sistematica applicazione metodologica del principio marxiano (esposto nel 1844 ne Gli annali franco-tedeschi) secondo il quale la critica della religione p il presupposto di ogni critica.
Da questo punto di vista, fra il Marx giovane (che smaschera le categorie dell’economia capitalista mediante il confronto demistificante di esse con le categorie dell’alienazione religiosa) e il Marx del Capitale non v’è che da registrare una perfetta omogeneità di vedute, nonostante che il Capitale rappresenti il documento più brillante dell’indiscutibile maturazione marxiana in sede di analisi economica. Tanto più rilevante appare dunque, in esso, il persistere del confronto demistificante fra forme di ideologia religiosa e forme di ideologia economica.

Evidentemente anche per il Marx maturo è essenziale mostrare come lo specchio della alienazione religiosa riveli l’alienazione socio-economica di cui è l’occultante riflesso e costituisca un momento essenziale della sua denuncia e conseguentemente della possibilità stessa del suo toglimento.

Religione ed economia
La religione non è solo oppio del popolo, non è posto in discussione da Marx solamente e semplicemente il suo contenuto (che per essere storicamente specifico è anche storicamente transeunte e dunque potrebbe mutare di epoca in epoca); è la forma stessa della religione che, presentandosi come occultante capovolgimento del reale deve, secondo Marx, essere denunciata e tolta. Tuttavia la denuncia di quel capovolgimento non è fine a se stessa. Marx sa benissimo che, anche agli occhi della chiesa, “oggi perfino l’ateismo è culpa levis, in confronto alla critica dei rapporti tradizionali di proprietà”.
Come diceva ancora il Marx degli Annali franco tedeschi, la battaglia contro la religione è solo una lotta indiretta che deve necessariamente introdurre –per essere efficace- alla lotta concreta e diretta contro quel mondo di cui la religione non è che la secondaria quintessenza spirituale.
E’ proprio per questo che nel Capitale (ma anche in opere precedenti) la denuncia del capovolgimento religioso è di essenziale importanza ai fini dell’individuazione ( e quindi della denuncia) di ogni altra forma di capovolgimento, quello socio-economico in primo piano.
Di qui l’importanza che riceve – in questo testo- la demistificazione della religione intesa quasi come addestramento alla ricerca di ogni altra mistificazione che ad essa sia analoga.

Perché Marx ritenga tanto decisivo il confronto fra religione ed economia diventa evidente qualora si consideri che – nel Capitale – la mistica struttura del capitalismo industriale – il mondo delle merci – si presenta essa stessa con le stigmate del’alienazione religiosa.
E’ indubbio che – proprio religiosamente – infatti, “durante il processo della produzione” si verifica “l’inversione di soggetto e oggetto”. Qui si possono vedere “tutte le forze produttive soggettive del lavoro presentarsi come forze produttive del capitale. Da una parte il valore, il lavoro passato, che domina il lavoro vivente, viene personificato nel capitalista; dall’altra parte, all’inverso, l’operaio appare come forza-lavoro puramente oggettiva, come merce.
Da tale rovesciamento di rapporti necessariamente deriva già nella semplice fase della produzione stessa il corrispondente rovesciamento di concezioni, una trasposizione di coscienza, che viene ulteriormente sviluppata dalle trasformazioni e modificazioni del vero e proprio processo di circolazione.” Quest’inversione –essenzialmente religiosa, almeno sul piano sovrastrutturale – si verifica dunque a diversi livelli anche sul piano della struttura.
E, infatti, “il modo in cui, mediante il passaggio attraverso il saggio del profitto, il plusvalore è trasformato nella forma del profitto”, non è –per fare un solo esempio- che “uno sviluppo ulteriore dell’inversione di soggetto e oggetto che già si verifica durante il processo della produzione”.

Marx insiste sull’essenzialità della categoria dell’inversione soggetto-oggetto ai fini della comprensione della mistificazione fondamentale della società capitalista e scrive, tra l’altro, che ciò che imprime ai mezzi di produzione “come un suggello un carattere di capitale non è né la natura di denaro del primo, né la specifica natura, il valore d’uso materiale” delle merci “come mezzi di sussistenza e mezzi di produzione, ma il fatto che quel denaro e quelle merci, si ergano di fronte alla forza-lavoro spogliata di qualunque ricchezza materiale come potenze autonome impersonate dai loro proprietari; il fatto che le condizioni materiali necessarie alla realizzazione del lavoro sono estraniate all’operaio, anzi gli appaiono come feticci dotati di volontà e d’anima proprie; il fatto che le merci figurino come acquirenti di persone”.
Come nel mondo religioso –mediate quel rovesciamento soggetto-predicato che il giovane Marx- del tutto autonomamente rispetto a Feuerbach – aveva tanto efficacemente illustrato e che non è qui il momento di riassumere – “I prodotti del cervello umano appaiono figure indipendenti, dotate di vita propria in rapporto con gli uomini”, così, “nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci”.

Ovvero –come si dice in un'altra parte dello stesso libro del Capitale – “come l’uomo è dominato nella religione dall’opera della propria testa, così nella produzione capitalista egli è dominato dall’opera della propria mano”. Questo avviene perché – in regime di capitalismo industriale – la merce è eminentemente un oggetto religioso o – come si esprime Marx – “una cosa sensibilmente sovrasensibile”, sicchè, “per trovare un’analogia” che illumini “l’arcano della forma merce” “dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso”.
Ecco perché si sosteneva la centralità che la critica della religione ha anche nel capolavoro marxiano: intendere l’arcano dell’alienazione religiosa è infatti propedeutico per intendere l’arcano della forma merce. Chi è addestrato alle sottili mistificazioni della religione, è in grado di cogliere anche quelle del capitale e di guardarsene. Non è buon critico del capitale chi non è buon critico della religione. L’analogia fra feticismo delle merci e religione diventa ancor più calzante qualora si rilevi che anche l’oggetto religioso ha un’apparenza di indipendenza rispetto al suo produttore umano proprio come le merci l’hanno rispetto ai lavoratori.
“Tutto il misticismo del mondo delle merci, tutto l’incantesimo e la stregoneria che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della produzione di merci” si spiegano se si pone mente al fatto che il lato sensibile di una merce, il suo aspetto cosale, non è che quella di essere cristallizzazione di lavoro umano sociale, il quale in essa si ritrova appunto allo stato di un’”oggettività spettrale”.
Sotto aspetto di cosa viene dunque celato un rapporto sociale determinato.

La realtà si presenta in questo modo capovolta, “a testa in giù” ed è questo appunto il tipico della forma della coscienza religiosa. Di qui la “sottigliezza metafisica” ed i “capricci teologici” della merce, i cui misteri sono dunque molto più complessi di quelli dello spiritismo.
Come scrive Marx, nel VI capitolo inedito del I libro del Capitale, “sul piano della produzione materiale, del reale processo sociale di vita – poiché non altro che questo è il processo di produzione-, v’è qui lo stesso rapporto che sul piano ideologico si manifesta nella religione; inversione del soggetto nell’oggetto e viceversa” . Ovviamente nella religione tale inversione avviene “nella rappresentazione”, mentre nel mondo delle merci è “nella realtà” che l’aspetto sociale del lavoro, cosificato, si “erge di fronte all’operaio come elemento non soltanto estraneo ma ostile ed antagonista, apparendo oggettivato e personificato nel capitale”.
Se la merce gode di attributi teologali, se è un feticcio (e non dell’uomo con se stesso nella forma estraniata della mediazione attraverso la divinità cosale) che si leva di contro all’uomo come un idolo minaccioso, dietro ad esso si erge, ancor più onnipotente, il dio capitale.
Teologia del capitale La sostanziale religiosità del capitale emerge dai predicati teologici coi quali Marx lo qualifica, al tempo stesso demistificandolo. Snoccioliamone la lunga litania.
Se consideriamo, all’interno dell’”alambicco alchimistico della circolazione” il capitale come plusvalore, esso risulta –né più né meno il dio nei confronti del mondo- invisibile.

Come il dio biblico, il capitale è “un essere terribilmente misterioso”.
Innumerevoli volte i tre libri del Capitale lo definiscono come volontà e potenza estranee rispetto all’uomo, il rapporto con le quali si svolge, del resto come il rapporto del dio ebraico col suo gregge: “Come sulla fronte del popolo eletto stava scritto ch’esso era proprietà di Geova, così la divisione del lavoro imprime all’operaio manifatturiero un marchio che lo bolla a fuoco come proprietà del capitale”. Ma il capitale è imparentato anche con altre divinità orientali.
Marx lo paragona alla micidiale ruota del carro indiano di Visnù che stritolava i fedeli durante le processioni;e anche a Moloch, cui venivano sacrificati i bambini, nella pretesa che “secondo le sue leggi innate gli appartiene tutto il plusvalore che il genere umano potrà ancora produrre”.
Come capitale produttivo d’interesse esso raggiunge poi la sua più indipendente ed estraniata forma divina, poiché si presenta come “feticcio automatico” che – proprio come la divinità emana il divino (lumen de lumine) – è valore che genera valore. Ma la divinità-capitale, fedele alo suo carattere di feticcio, presenta predicati anche più arcaici, di un ente quasi regredito dal culto religioso al culto magico. Viene infatti – e non una sola volta- definito come “mostro animato.

Si tratta qui di un’operazione quasi negromantica compita dal capitalista – il sacerdote e servo del capitale- il quale “trasformando denaro in merci che servono come fattori del processo lavorativo, incorporando forza lavoro vivente alla loro morta oggettività, trasforma valore, lavoro trapassato, oggettivato, morto, in capitale, in valore autovalorizzantesi; nostro animato che comincia a lavorare come se avesse amore in corpo”. All’interno di questa resurrezione del mortuum, come l’antico Osiride, il capitale si presenta come il morto che comanda al vivo, che ne è schiavo.
Infatti “nella fabbrica esiste un meccanismo morto indipendente dagli operai –meccanismo vivente- e gli operai gli sono incorporati come appendici umane”.
“La mort saisit le vif”!. Il mostro animato che ha il suo regno dove sono “i cadaveri delle macchine” e dove lentamente, “ogni uomo va morendo di ventiquattrore ore al giorno”, poiché il suo valore trapassa inesorabilmente nel processo lavorativo, assume infine anche la sanguinosa maschere del vampiro. “Il capitale è lavoro morto, che si ravviva, come un vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo e più vive più ne succhia”. E all’origine della sua epifania nella storia questo vampiro prediligeva i fanciulli e questo spiega il mistero della “trasformazione del sangue dell’infanzia in capitale”. Ma è tempo di tornare dalla magia e dalla negromanzia alla religione, anzi alla religione per eccellenza, ai predicati cristiani del capitale.
A questo proposito occorre notare che, per Marx, il cristianesimo è la religione specifica del capitale. “Per una società di produttori di merci, il cui rapporto di produzione generalmente sociale consiste nell’essere in rapporto coi propri prodotti in quanto sono merci, e dunque valori, e nel riferire i propri lavori privati l’uno all’altro, in questa forma di cose, come eguale lavoro umano, il cristianesimo, col suo culto dell’uomo astratto, e in particolare nel suo svolgimento borghese, nel protestantesimo, deismo, ecc.., è la forma di religione più corrispondente”.
Al lavoratore astratto del capitalismo industriale ben si accoppia, dunque, l’uomo astratto del cristianesimo; così come ben si accoppia la cristiana nozione atomistica di anima alla robinsonata del culto borghese per l’alienazione dell’individuo nell’individualismo.



martedì 26 giugno 2012

VATICAN CONNECTION E OPUS DEI, OVVERO IL LATO OSCURO DELL'ORACOLO... part 3°



Vaticano, dietro lo scandalo lo scontro tra Cl e Opus Dei.
Intervista a Ferruccio Pinotti
di Valerio Gigante, da www.adistaonline.it

Cosa pensi dello scandalo scoppiato dopo le rivelazioni fatte da La7 sul caso Viganò?
Mi pare chiaro che è in atto uno scontro interno al Vaticano che sta raggiungendo un livello molto alto e che ha oggi come obiettivo principale il segretario di Stato card. Bertone e il suo entourage.

Sei quindi dell’idea che la vicenda non sia scoppiata casualmente, ma che sia piuttosto il frutto di una strategia interna agli ambienti ecclesiastici. Un po’ come il caso Boffo del 2009... Del resto (come testimonia la parola “Pervenuta” stampigliata in alto a destra dell’originale mostrato da Gianluigi Nuzzi), la lettera di Viganò al card. Bertone è uscita dalla segreteria di Stato, non dall’archivio privato dell’ex segretario del Governatorato...

Sì, è un’ipotesi molto realistica. In Vaticano da anni è in atto una guerra tra correnti.
Il conflitto, per come si sta oggi sviluppando, mi appare piuttosto confuso negli esiti, e in ogni caso assai poco governabile. La fuga di notizie data in pasto ai media lo testimonia.
Bertone in Curia di nemici ne ha sempre avuti. Ritengo però che oggi l’ostilità nei suoi confronti si sia acutizzata in conseguenza dell’operazione che il Segretario di Stato ha condotto in maniera molto decisa per l’acquisizione del San Raffaele. Il progetto di espansione degli interessi vaticani in ambito sanitario di per sé certamente confligge con gli storici interessi in quel settore di Comunione e Liberazione.
Ma portare quel progetto proprio in Lombardia, nel cuore del potere ciellino, e per di più mirando al san Raffaele, un ospedale che ottiene 450milini di euro l’anno di rimborsi pubblici per le prestazioni sanitarie che eroga, ecco, questo forse è stato l’azzardo che Bertone sta pagando.
Ed in effetti, tra i più accesi oppositori del tentativo di scalata di Bertone al San Raffaele c’era proprio il cardinale Scola, la cui azione si è saldata con quella degli ambienti vicini alla Cei e con un certo numero di esponenti di Curia che negli ultimi anni erano stati progressivamente messi ai margini da Bertone.

Bertone è stato sostenuto in questi anni dall’Opus Dei (ai vertici dello Ior siede tra l’altro un suo soprannumerario, Ettore Gotti Tedeschi), che sarebbe rientrato all’interno della fallita operazione di acquisizione del San Raffaele assieme all’imprenditore Malacalza.
Si riproporrebbe quindi su un piano intra-ecclesiale oltre che su quello economico-finanziario il tradizionale scontro tra Cl ed Opus Dei?
Sì, con una differenza rispetto al passato: che l’Opus Dei non ha più quell’atteggiamento di superiorità e di altezzosa indifferenza che ha tradizionalmente avuto nei confronti del movimento di don Giussani, quando l’Opera si occupava di alta finanza e lasciava a Comunione e Liberazione gli appalti ed i rapporti con le amministrazioni locali. Un cambiamento che ho potuto personalmente constatare nelle dichiarazioni che al meeting di Rimini del 2009 mi ha rilasciato lo stesso portavoce dell’Opus Dei in Italia, Giuseppe Corigliano molto attento a cercare un dialogo con Cl, a sottolineare i carismi che rendevano simili l’Opera con il movimento di Giussani.
Certo, allo stesso tempo si notava anche un certo imbarazzo di Corigliano di fronte all’esibizione di grandezza e potere che caratterizza le kermesse di Cl e che non rientrano minimamente nello stile dell’Opus.
Un disagio che, oltre al disappunto, celava forse anche una certo desiderio di emulazione.

Certo, oggi più che lo scontro tra due forze, sembrerebbe configurarsi quello tra due debolezze, se è vero che l’Opus alla fine non è riuscita nell’intento di rafforzare la propria presenza nel settore della sanità e Cl non sta attraversando un periodo felicissimo dal punto di vista politico e giudiziario...
Se a ciò aggiungiamo la crisi economica riusciamo probabilmente a spiegarci anche l’intensità che lo scontro intra-ecclesiale ha raggiunto negli ultimi mesi e che è difficile rintracciare, almeno in queste forme, in stagioni precedenti vissute dalla Chiesa cattolica post-conciliare

Tu ritieni il papa spettatore suo malgrado dello scontro in atto o parte in causa, per aver nominato Bertone ed averne sostenuto l’azione?
È difficile rispondere. Storicamente questo papa ha avuto relazioni ottime con Comunione e Liberazione, di cui ha sempre ammirato lo spirito e l’azione ecclesiale.
Non a caso sono delle Memores Domini a prestare servizio nell’appartamento pontificio.
Ma anche l’Opus Dei ha avuto con l’attuale papa un rapporto privilegiato.
Alcuni si spingono a sostenere che l’Opera abbia giocato un ruolo importante nella stessa elezione di Benedetto XVI. Ecco, ritengo che oggi Ratzinger preferirebbe mediare tra i diversi interessi in campo; ma che, oggettivamente, anche per il livello della posta in gioco e degli attori in campo, la situazione gli sia sfuggita di mano. Insomma, è in atto nella Chiesa un progetto disgregativo che molto difficilmente il papa o Bertone potranno ricondurre all’unità.

Benedetto XVI ha però dato molto potere proprio a quelle realtà che oggi nella Chiesa combattono apertamente la propria lotta per l’egemonia...
La contraddizione sta proprio qui. Questo papa oggi vorrebbe ricondurre all’ordine lefebvriani, legionari, neocatecumenali, ciellini, opusdeisti. Ma si tratta di strutture a cui negli anni passati, specie sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, è stata concessa una autonomia enorme dal punto di vista dottrinario, ecclesiale e – soprattutto – finanziario.
Oggi quindi le spinte centrifughe, innescate dallo stesso pontificato wojtyliano (all’interno del quale Ratzinger ha giocato un ruolo tutt’altro che secondario) sembrano molto più forti di quelle centripete e il papa non credo riuscirà a ricondurre all’unità settori del corpo ecclesiale divenuti ormai molto influenti, anche in virtù dell’enorme potere finanziario accumulato.
E che combattono la loro battaglia uno contro l’altro su piani molto complessi e differenti, da quello delle strategie politiche a quello delle alleanze con i banchieri ed il mondo industriale, dalla finanza alla acquisizione di ospedali e università, dalla occupazione dei posti chiave nell’organigramma vaticano alle nomine episcopali.



 

martedì 19 giugno 2012

VATICAN CONNECTION E OPUS DEI, OVVERO IL LATO OSCURO DELL'ORACOLO... part 2°


Torno a riflettere sulle vicende che hanno condotto all’allontanamento di Luigi De Magistris dalle inchieste Why Not e Poseidone e di Monsignor Bregantini dalla Calabria.
A mente serena e con l’algido distacco dettato dal tempo che scorre, mi convinco sempre di più che le matrici del loro addio forzato siano comuni.
Ho avuto il tempo di rileggermi un po’ di carte sparse sulla mia scrivania al giornale, alle quali ho aggiunto quelle sparse nel mio studio di casa.
Ho composto il tutto con alcuni tasselli che da tempo mi ronzavano per la testa.
Molti tra noi giornalisti hanno avuto il coraggio di approfondire quello che – da subito e indipendentemente dai rilievi penali – appariva il grande brodo primordiale nel quale sguazza(va) il malaffare calabrese.

Dalle carte di De Magistris il tanfo della lobby “affaristico-politico-mafiosa-massonico deviata” si leva alto. Ogni pagina – se letta in controluce – mostra le orme indelebili della nuova P2 di cui tanto ho scritto in questo blog (da ultimi i post di 9, 11 e 14 febbraio) e nelle mie inchieste sul Sole-24 Ore (da ultimo 10 dicembre 2008 e 25 gennaio 2009).
Per non parlare della radio (puntate di “Guardie o ladri” scaricabili via podcast sul sito www.radio24.it).
L’inchiesta di De Magistris aveva però provato a entrare anche nei segreti di quella che Licio Gelli (uno che se ne intende) chiama la “massoneria bianca”: l’Opus Dei, che in Calabria accompagna spesso l’operato della Compagnia delle Opere, fino a pochi anni fa identificata con Antonio Saladino, che ne era il presidente e che è al contempo il principale indagato dell’inchiesta avocata allo stesso De Magistris (ricordo, per inciso, che Saladino, dalla superteste Caterina Merante, viene accostato alla massoneria, anche se il prode Saladino ha sempre smentito furioso).
La parola “Opus Dei” è restata dunque sempre nell’ombra e nella penombra, per la paura che, presso molti giornalisti, evoca.
Paura – anche semplicemente – di scriverne, cercando di capire o, quantomeno, di porsi interrogativi.
Ed allora mi sono andato a riprendere il libro di Sandro Neri:Licio Gelli. Parola di Venerabile”, editato nel 2006 da Aliberti.
Nell’ultima pagina l’intervistatore pone due domande che riporto testualmente insieme alle risposte.

Domanda: “Molti sospettano che la P2 esista ancora. E che continui a operare, magari sotto un altro nome”. Risposta. “La loggia massonica P2 è stata una realtà unica e irripetibile. Che oggi non avrebbe più senso. Ci sono organizzazioni molto più potenti, di respiro internazionale ma nello stesso tempo riservatissime”.
Domanda: “Può citarne qualcuna?Risposta: “L’Opus Dei. Una ragnatela che copre tutto il pianeta, tessuta da persone validissime. E’ chiamata massoneria bianca”.
Con una toccata e fuga, vi ricordo appena che negli archivi della Loggia P2 fu trovato un intero schedario dedicato all’Opus Dei e vi ricordo che – teoricamente - massoneria (bianca, nera, gialla o verdina che sia) e cattolicesimo sarebbero incompatibili.
Ora, senza evocare alcune vicende e persone “validissime” che quell’intervista evoca, come a esempio la contrapposizione tra lo Ior di Monsignor Paul Casimir Marcinkus e l’Opus Dei, il ruolo della stessa P2, di Roberto Calvi e il crack del Banco Ambrosiano, giusto per non contraddire il Venerabile che – ne sono certo – ha ancora il suo potere (nonostante giochi a fare il pensionato e a non rispondere ai magistrati siciliani che, non più tardi di tre mesi fa, sono tornati a interrogarlo su trame per le quali non lo considerano estraneo) qualche considerazione la farei. Insieme a voi. Immaginate se contribuisse a riflettere con noi anche il Venerabile che, mi gioco una pizza, segue (o fa seguire) il mio blog.
Dunque dunque: secondo l’ex Venditore di materassi, l’Opus Dei sarebbe una (anzi: l’unica) ragnatela più potente della massoneria internazionale. Questo assunto – mi domando a voce alta e professando il mio rispetto per la parte sana e maggioritaria di questa prelatura della Chiesa – è vero anche se le proporzioni si riportano e si adattano alla Calabria?
E quanto i principi dell’Opus Dei sono stati traditi nel momento in cui alcuni numerari, aderenti, soprannumerari o simpatizzanti influenti hanno cominciato a giocare con il potere e manovrarne le leve?
Per non saper ne leggere ne scrivere parto da un dato oggettivo che traggo dal libro di Assunta ScorpinitiLa Calabria di Escrivà. Un vero e proprio viaggio sulle tracce del fondatore dell’Opus Dei”, editato nel 2006 dalla casa editrice “Progetto 2000”.

Apprendo così – e non mi meraviglio – che la Calabria è la regione con il maggior numero di strade, piazze, strutture pubbliche e sacre immagini dedicate al benemerito fondatore spagnolo.
Bene, diranno molti di voi e così penserà anche l’ingegner marchese Giuseppe Corigliano (detto Pippo), potentissimo e immarcescibile direttore dell’Ufficio informazione dell’Opus Dei, che in Calabria è di casa: che male c’è? Nessuno. Lo spirito dell’Opus Dei – riporto fedelmente dal sito istituzionale - “è aiutare a trovare Cristo nel lavoro, nella vita familiare e in tutte le attività quotidiane”. Evidentemente in Calabria ci sono più persone che hanno bisogno di trovare Cristo.
E non ne dubito: soprattutto intorno al Santuario aspromontano di Polsi, magari a settembre quando si dedica una settimana di venerazione alla Madonna della Montagna.
E passiamo a De Magistris e alla sua inchiesta Why Not. L’11 ottobre 2007 il magistrato interroga Giuseppe Tursi Prato, ex consigliere regionale, un tipino fino, già spedito in carcere per associazione mafiosa e corruzione che – chiamato a rispondere delle sue frequentazioni – dichiarerà di appartenere all’Opus Dei ma di far parte di quelli che in Calabria non ne hanno mai tratto vantaggio (e come no, dicono sempre e tutti così!).
E ricorda, nella stessa occasione, che legatissimo all’Opus Dei era Franco Morelli, ex Dc, ex An, ex capo di Gabinetto dell’ex Governatore della Calabria Giuseppe Chiaravalloti, attualmente consigliere regionale, amico di Saladino e amante di Topolino (leggo dalla sua scheda personale sul sito della Regione Calabria questo fondamentale tratto distintivo dell’uomo attualmente indagato dalla Procura di Paola in un filone dell’inchiesta Why Not relativo all’utilizzo di fondi Ue.
Le ipotesi di reato al vaglio della Procura: truffa aggravata, peculato e abuso d’ufficio).
Il 5 gennaio 2008 Caterina Merante, superteste dell’inchiesta avocata a De Magistris, escussa dalla Procura generale di Catanzaro, ricorderà l’appartenenza all’Opus Dei dell’ingegner Giuseppe Lillo, del Consorzio Brutium e società satelliti, tutte creature dirette o indirette – secondo De Magistris - di Saladino. Anche Lillo è indagato dalla Procura di Paola nello stesso filone di indagine di Morelli. Indagati a Catanzaro per l’inchiesta madre sono invece – tra gli altri – Eugenio Luigi Conforti e Sabatino Savaglio (quest’ultimo uomo ombra e penombra di Saladino).
Se questi ultimi due facciano parte dell’Opus Dei solo Iddio lo sa, visto che l’appartenenza alla congregazione è quasi sempre tenuta “riservata” (cioè segreta, esattamente come la massoneria).



Per certo i mortali sanno invece che i due siedono ancora nel consiglio direttivo della Compagnia delle Opere della Calabria (consultare il sito per credere).
Ma De Magistris si era già imbattuto in due faccendieri – Liso e Scelsi – che, come si può leggere a pagina 253 dell’inchiesta Why Not “erano molto vicini all’Udc, ai vertici militari e all’Opus Dei”. 
E ancora troviamo una descrizione poco lusinghiera del volto affaristico, quando a pagina 255/256 l’ex Pm raccoglie alcune testimonianze secondo le quali alcuni appalti sanitari a Vibo potevano essere ottenuti attraverso l’intermedizazione di personaggi legati all’Opus Dei, così come era possibile concludere, nello stesso modo, vantaggiose compravendite immobiliari.
Oltre a De Magistris, si possono contare sulle dita di una mano quelli che in Calabria hanno acceso i riflettori sull’Opus Dei.
Tra questi il segretario nazionale del Pri – partito che vanta con orgoglio tradizioni massoniche – Francesco Nucara, deputato di Reggio Calabria. Intervistato da Calabria Ora il 14 agosto 2006 dichiarerà con una frase a effetto ma non casuale che “l’Opus Dei in Calabria è molto più radicata della massoneria”. Nucara – detto per inciso – è quello che a fine 2005 a Bologna, da sottosegretario all’Ambiente nel Governo Berlusconi, intervenne con un messaggio al Bicentenario del Grande Oriente d’Italia, concludendo il suo testo inviato ai relatori del convegno “La Massoneria italiana dalla Repubblica ai giorni nostri”, con un “caro fraterno saluto a tutti voi”. Chiaro?
Nucara è lo stesso Nucara chiamato in causa dai magistrati calabresi Enzo Macrì e Antonio Lombardo allorchè riportarono in sentenza che “su un’ autovettura intestata ad un affiliato della ‘ndrangheta è stato rinvenuto materiale di propaganda elettorale per il candidato del Pri Nucara Francesco, che secondo voci di pubblico dominio raccolte dai Carabinieri, durante la campagna elettorale era stato appoggiato dalle cosche mafiose facenti capo a Serraino Francesco, De Stefano Paolo, i Tegano, i fratelli Libri, Araniti Santo, Frascati Antonio e i fratelli Caridi”. Voci che Nucara smentì con forza minacciando querele contro ignoti per quel rapporto dei Carabinieri che lo indicava come il candidato di un gruppo di ‘ndrine. Nucara sarebbe inoltre indicato parente, per parte di madre, del boss di ‘ndrangheta Domenico Libri (si veda "Cirillo, Ligato, Lima, tre storie di mafia e politica” a cura di Nicola Tranfaglia, edizioni Laterza).

Mentre De Magistris – suppongo essendone conscio – stava firmando da solo il foglio di via dalla Calabria per i troppi poteri occulti toccati, lambiti o scoperti, il 31 dicembre 2007 la Diocesi di Locri-Gerace - nella quale ricade anche il Santuario di Polsi sacro ai calabresi devoti e ai boss di ‘ndrangheta, devoti più dei santini (da bruciare) che dei santi in vita o morti – ha ospitato l’ultimo giorno pastorale di Monsignor Giancarlo Maria Bregantini. Da un giorno all’altro la Chiesa decise di “promuoverlo” e spedirlo a Campobasso. Che promozione eh! E’ come se Giorgio Napolitano, da Presidente della Repubblica, fosse spedito a fare il presidente del consiglio comunale di Isernia.
«In questi anni – dichiarerà al Corriere della Sera il 7 novembre 2007 Mario Schirripa, fedele collaboratore di Bregantini - abbiamo combattuto la ' ndrangheta e la massoneria. Abbiamo dato battaglia anche contro chi non si espone. Credo che ora tutte queste persone si siano presi la rivincita».
''La ‘ndrangheta e le cosche sono strumento di peccato.
Come pure la massoneria deviata, spesso collusa con la mafia, in un intreccio di interesse losco e pericoloso, perchè favorisce non il bene comune, ma sempre e in modo prevalente il bene privatistico.
Questo è il vero peccato della massoneria, oggi, in terra di Calabria” aveva tuonato nella giornata dell’Avvento del 2005 Monsignor Bregantini ma nel giugno 2006 durante i corsi della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Don Giorgio Pratesi” della Diocesi di Locri-Gerace sugli “Intrecci tra ‘ndrangheta e massonerie coperte” rincarerà la dose tanto da ricevere la durissima reazione di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia che non escluse di adire le vie legali.
Ben sapendo, tutti, che fior di pentiti hanno fatto riempire ai magistrati centinaia di pagine di verbale nelle quali sottoscrivevavo – pagina per pagina – lo stretto e quasi inscindibile legame che in Calabria esiste tra ‘ndrangheta e massoneria coperta.
Monsignor Bregantini, dunque, ne aveva le scatole piene della massoneria deviata e non faceva nulla per nasconderlo.

Come De Magistris, che oltretutto aveva cominciato anche a penetrare nell’impenetrabile Opus Dei.
Ma…un momento… Questo film lo abbiamo già visto.
E già! Correva il 1992 e l’allora Procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, mirò agli stessi obiettivi “sensibili”.
Fu rimosso e spedito a Napoli (guarda tu, proprio come De Magistris) e da lì si son perse le tracce.
E – ironia della sorte – un altro De Magistris Luigi si è scottato con l’Opus Dei. Arcivescovo, penitenziere maggiore della Santa Sede dal 2001 al 2003, consulente della congregazione per le cause dei Santi. Fu rimosso perché l’Opus Dei non gli perdonò mai di essersi pronunciato, unico curiale di spicco, come ricordò il giornalista dell’Espresso Sandro Magister nel numero in edicola il 24 ottobre 2003, contro la beatificazione del fondatore Josè Maria Escrivà de Balaguer.
E dovette anche dire addio alla berretta cardinalizia che gli sarebbe toccata per tradizione.
Vuoi vedere che l’unico a capire tutto è stato Giuliano Di Bernardo, ex maestro del Grande Oriente d’Italia? Sono andato a ripescare un articolo del 17 luglio 2003 sull’”Opinione”, un quotidiano semi-sconosciuto particolarmente sensibile, a giudicare dall’attenzione che gli dedica, al richiamo della massoneria. Ecco il titolo: “Una super lobby per massoneria e Opus Dei – Giuliano di Bernardo mette insieme il diavolo e l’acqua santa e fonda l’Accademia degli Illuminati”.
Laici e cattolici, tutti insieme appassionatamente.
La Calabria dei poteri forti, occulti e contorti - che combatte Bregantini e De Magistris e li abbandona al proprio destino – evidentemente l’”Opinione” non la legge.
La Calabria in cui la “massoneria deviata” batte e combatte o si allinea e si allea (a seconda della convenienza) con la “massoneria bianca deviata”, l’Accademia degli Illuminati (scusate ma il nome a me fa sorridere, avrei preferito chessò… lo Zecchino D’Oro, se il nome non fosse già coperto da copyright) non la illumina proprio.
Tantomeno, credo, illumina la democrazia e il futuro di una terra dal destino ormai segnato (così come quelli di De Magistris e Bregantini), che il solo Architetto Illuminato che io riconosco - Signore Nostro Gesù Cristo - potrebbe salvare. Ammesso che gli avanzi un miracolo.


roberto.galullo@ilsole24ore.com

venerdì 8 giugno 2012

VATICAN CONNECTION E OPUS DEI, OVVERO IL LATO OSCURO DELL'ORACOLO... part 1°


Ufficialmente la Banca Vaticana è nota come l’Istituto per le Opere di Religione o IOR.
In ogni caso la religione ha ben poco a che fare con la Banca, a meno che ci si riferisca ai cambiavalute che si sono nella Chiesa. Mentre i cambiavalute stavano semplicemente fornendo un servizio, in modo che le tasse del tempio potessero essere pagate, la Banca Vaticana è stata coinvolta in evasione fiscale, imbrogli finanziari e riciclaggio di oro nazista.
Il Papa, come unico azionista della Banca Vaticana, è uno degli uomini più ricchi al mondo e, per associazione, uno dei meno etici.
L’Istituto è un organismo finanziario vaticano – secondo una definizione data dal cardinale Agostino Casaroli – ma non è una banca nel senso comune del termine.
Lo Ior utilizza i servizi bancari, però l’utile non va, come nelle banche normali, agli azionisti (che nel caso dello Ior non ci sono) ma risulta a favore delle “opere di religione”.
La Banca Vaticana non è responsabile né verso la Banca Centrale del Vaticano né verso il Ministero dell’Economia; infatti, funziona in modo indipendente con tre consigli d’amministrazione: uno è costituito da cardinali di alto livello, un altro è costituito da banchieri internazionali che collaborano con impiegati della Banca Vaticana e per ultimo un consiglio d’amministrazione che si occupa degli affari giornalieri.
Tali strutture organizzative così chiuse sono la norma nella Santa Sede e sono utili per mascherare le operazioni della Banca. Lo IOR funziona come banchiere privato della Chiesa, dal momento che si adatta perfettamente alle esigenze di una Banca diretta dal Papa.
A ogni cliente viene fornita una tessera di credito con un numero codificato: né nome né foto.

Con questa si viene identificati: alle operazioni non si rilasciano ricevute, nessun documento contabile. Non ci sono libretti di assegni intestati allo Ior: chi li vuole dovrà appoggiarsi alla Banca di Roma, convenzionata con l’istituto vaticano.
I clienti dello Ior possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede.
A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti. Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo Ior è l’ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati.
I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti.
Nonostante sia di proprietà del Papa, la Banca, sin dal proprio inizio, è stata più volte coinvolta nei peggiori scandali, corruzione e intrighi. Sotto felice auspicio, l’apertura della banca nel 1941 per ordine di Pio XII, altresì chiamato il Papa di Hitler, ha fornito convenienti sbocchi bancari ai fascisti italiani, all’aristocrazia e alla mafia. (da «Tutto quello che sai è falso», Di Jonathan Levy).
Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank.
Nel 1954 Bernardino Nogara decide di ritirarsi senza tuttavia interrompere l’attività di consulente finanziario del Vaticano, che continuò fino alla morte, avvenuta nel 1958.

La stampa dedicò poco spazio alla sua scomparsa, ma il cardinale Francis Spellmann di New York pronunciò per lui un memorabile epitaffio: «Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara». Al geniale banchiere, nel corso della sua lunga attività, venne affiancato il principe Massimo Spada. Anche lui mostrò lungimiranza e spregiudicatezza nella gestione degli interessi del Vaticano e si lanciò in varie operazioni, la maggior parte delle quali – come si è visto – in collaborazione con Michele Sindona.
Lo Ior, in quanto istituto che opera con modalità proprie, non è mai stato tenuto a nessun tipo di informativa – né verso i propri clienti, né verso terzi – né tanto meno a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività.



All’epoca del caso Calvi-Ambrosiano, l’istituto doveva rispondere, in via puramente teorica, a una commissione esterna di cinque cardinali, ma di fatto gli amministratori si muovevano senza alcun vincolo. A favore di chi, allora, operava lo Ior? Marcinkus dichiarò che i profitti erano realizzati «a favore di opere di religione» e che «qualsiasi guadagno dello Ior è a disposizione del Papa».
Ma come osserva Bellavite Pellegrini: «Con le sue caratteristiche, lo Ior veniva veramente ad assomigliare a un inter-mediario che agisce su una piazza off shore» (da Ferrucci Pinotti “Poteri Forti” ).
Lo Ior, che ha una personalità giuridica propria, è retto da un “Consiglio di soprintendenza” controllato da una Commissione di cinque cardinali: si tratta del nucleo di vigilanza.
I porporati, però, non hanno generalmente alcuna competenza finanziaria.
Il loro dovrebbe essere un controllo morale. Un ruolo più tecnico è svolto dal “Consiglio di amministrazione” composto di cinque laici ed un direttore generale. L’Istituto intrattiene rapporti valutari e creditizi con clienti e banche italiane, opera attivamente sul mercato finanziario internazionale, gioca in borsa, investe, raccoglie capitali; tuttavia, come istituto estero, non è sottoposto ad alcun controllo da parte delle autorità di vigilanza italiane.
La Banca Vaticana afferma di non aver nessun documento relativo al periodo della Seconda Guerra Mondiale; infatti, secondo il procuratore della Banca Vaticana, Franzo Grande Stevens, lo IOR distrugge tutta la documentazione ogni dieci anni, un’affermazione alla quale nessun banchiere responsabile crederebbe. Ciononostante, altre documentazioni esistono in Germania e presso gli archivi americani, che dimostrano i trasferimenti nazisti di fondi allo IOR dalla Reichsbank, e altri dallo IOR alle banche svizzere controllate dai nazisti.
Un famoso procuratore specializzato nelle restituzioni dell’Olocaustoha documentato i trasferimenti di denaro dai conti delle SS a un’innominata banca romana nel settembre 1943, proprio quando gli Alleati si stavano avvicinando alla città.
Dalla fine degli anni Settanta, lo IOR era divenuto uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali. Sotto la tutela del vescovo americano (uno spilungone di 191 cm) Paul Marcinkus, il vescovo Paolo Hnilica, Licio Gelli, Roberto Calvi e Michele Sindona, la Banca Vaticana divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi per il riciclaggio del denaro, in cui era difficile determinare dove finiva l’opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia.

Il Banco Ambrosiano dei Calvi e numerose società fantasma dirette dallo IOR di Panama e del Lussemburgo presero il controllo degli affari bancari italiani e funsero da canale sot-terraneo per il flusso di fondi verso l’Europa dell’Est, in appoggio all’Unione nazionale anti-comunista.
Marcinkus, capo dello IOR, fu Direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bahamas), ed esisteva una stretta relazione personale e bancaria fra Calvi e Marcinkus. Sfortunatamente, molti di quelli coinvolti non erano solo collegati alla mafia, ma erano anche membri della famigerata loggia massonicaP2, con il risultato finale della spartizione del denaro di altre persone, inclusa una singola transazione di 95 milioni di dollari (documentata dalla Corte Suprema irlandese).
Non appena le macchinazioni vennero a galla a causa di un errore di calcolo attribuito a Calvi, le teste cominciarono letteralmente a rotolare.
L’impero bancario Ambrosiano fu destabilizzato da uno scontro ai vertici del potere interno, che coinvolgeva la Banca Vaticana, la mafia e il braccio finanziario dell’oscuro ordine cattolico dell’Opus Dei. L’Opus Dei, in ogni caso, decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato «suicidato», impiccato sotto il ponte di Blackfriars a Londra, con alcuni sassi nascosti nelle tasche, una scena ricca di simbolismo massonico.

di TONY BRASCHI